Wednesday, June 3, 2020

Step 20

ZIBALDONE


Irreversibile condizione di infelicità dell'uomo

Che la vita nostra, per sentimento di ciascuno, sia composta di più assai dolore che piacere, male che bene, si dimostra per questa esperienza. Io ho dimandato a parecchi se sarebbero stati contenti di tornare a rifare la vita passata, con patto di rifarla nè più nè meno quale la prima volta. L'ho dimandato anco sovente a me stesso. [4284]Quanto al tornare indietro a vivere, ed io e tutti gli altri sarebbero stati contentissimi; ma con questo patto, nessuno; e piuttosto che accettarlo, tutti (e così, io a me stesso) mi hanno risposto che avrebbero rinunziato a quel ritorno alla prima età, che per se medesimo, sarebbe pur tanto gradito a tutti gli uomini. Per tornare alla fanciullezza, avrebbero voluto rimettersi ciecamente alla fortuna circa la lor vita da rifarsi, e ignorarne il modo, come s'ignora quel della vita che ci resta da fare. Che vuol dir questo? Vuol dire che nella vita che abbiamo sperimentata e che conosciamo con certezza, tutti abbiam provato più male che bene; e che se noi ci contentiamo, ed anche desideriamo di vivere ancora, ciò non è che per l'ignoranza del futuro, e per una illusione della speranza, senza la quale illusione e ignoranza non vorremmo più vivere, come noi non vorremmo rivivere nel modo che siamo vissuti.
(Firenze. 1. Luglio. 1827.)

Giacomo Leopardi: vita e opere | Studenti.itIn questo passo Leopardi ripercorre un pensiero a lui molto caro, già affrontato nel dialogo "Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere" (come viene implicitamente ricordato all'inizio del testo), cioè il concetto per cui la felicità non è legata a qualcosa di reale che stiamo vivendo o abbiamo già vissuto, ma solo all'attesa, alla speranza di ciò che ci immaginiamo e ci illudiamo possa accadere.
Questo aspetto è alla base del suo pessimismo storico secondo cui:La Natura ha creato gli uomini felici perché li ha dotati della fantasia, che permette loro di non vedere i mali della vita; ma il progresso e la civiltà hanno dato sempre più spazio alla Ragione, che ha tolto all'uomo la fantasia e quindi la capacità di illudersi e di sperare. Gli antichi erano felici perché sapevano immaginare e traducevano questa capacità in grandi azioni eroiche; i moderni sono invece prigionieri di un mondo angusto, teso solo al soddisfacimento di bisogni elementari, privo delle grandi visioni e passioni che caratterizzavano il passato: la virtù, l’eroismo, la forza del corpo e dell'anima.
Infelicità come frutto inevitabile del progresso della società umana.

Fonti: Testo
           Zibaldone
           Dialogo





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